Cultura leggera, Feuilleton

Con le tartarughe si fanno i pettini -9 di Clementina Coppini

Riposi il libro nello scaffale e invitai Diana a prendere un aperitivo. Era una delizia guardarla sorseggiare quell’orrendo cocktail arancione, che vicino alle sue labbra diventava invitante anche per me che i cocktail mi hanno sempre fatto venire mal di stomaco. Diana mi confondeva. Lei parlava e mi confondevo senza neppure aver bisogno di starla a sentire. Ah, come suonava bene la sua voce. Rispondevo a caso, ma forse, nella confusione, dicevo anche qualcosa di sensato, perché lei annuiva e sorrideva. Accettò di farsi accompagnare a casa. Mentre camminavo al suo fianco mi confondevo sempre più e come saluto le sfiorai un braccio con la punta delle dita. Non osai avvicinarmi di più, perché ho sempre avuto paura del contatto con gli estranei e lei era bella ma estranea ancora. Non ero pronto. Le chiesi se ci potevamo vedere il giorno dopo in biblioteca, lei rispose di sì e mi accarezzò una guancia. Ah, com’era delicata la sua mano. Pur senza distogliere per un attimo il pensiero dai suoi occhi, mi fermai in libreria a comprare L’Antologia di Spoon River. Quella sera, al posto di studiare, rilessi decine di volte la poesia e prima di dormire pensai per metà a Diana e per metà alla morte. La morte mi aveva seguito fin da bambino. La mattina del giorno in cui era morta mia madre nell’uscire di casa per andare a scuola ero stato attraversato, direi quasi trapassato, da un refolo acuminato e gelidissimo e avevo pensato che la morte stesse entrando in casa mia.
L’avevo confessato al mio amico Emanuele che mi aspettava sotto casa per uscire. Lui non mi aveva creduto, poi mia madre era morta davvero e lui di lì a poco aveva iniziato a trovare scuse sempre più improbabili per non vedermi. Come dargli torto? Sarei scappato anch’io da uno come me, se avessi potuto. Sebbene i due eventi a mio parere non fossero in alcun modo correlati, iniziai a evitare di parlare di questi argomenti. A nessuno piacciono i segnali che manda la nera signora. Non piacciono nemmeno a me, a dire il vero. Ho sempre detestato questa mia propensione, ma ho dovuto imparare a conviverci. Da allora in poi ho visto la morte come un afflato freddo che entra dalla porta di casa mentre la attraversi. Tu sei affaccendato nel vivere e lei ti aspetta paziente. Tanto sa che prima o poi devi tornare. Quando rientri in quello che ritieni il tuo rifugio sicuro lei è già appostata. Se non torni trova un’altra porta, ma alla fine si inizia sempre a morire nella propria casa, in un modo o nell’altro.

 

Segue…

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